Adottare un cane adulto. Perché non è solo una scelta etica ma anche una buona idea?

Ci sono moltissime associazioni che si occupano di adozioni di cani meno fortunati, alcune lavorano al sud, con i cani randagi, altre si occupano di una razza in particolare o dei mix di quella razza come l’ASRI o Border Angels che lavorano con  gli australian shepherd e i border collie e meticci derivanti da queste due razze in particolare. Altre realtà sono i canili asl e i parchi-rifugio, nei primi gli animali dovrebbero sostare per pochissimo tempo, in attesa di essere spostati nelle strutture rifugio, adatte ad ospitarli fino all’adozione. Sul nostro territorio troviamo canili agli antipodi per quanto riguarda il benessere degli animali presenti;  passiamo da aree che ospitano anche 800 individui, a piccoli complessi da 60/70 cani. Ovviamente il personale volontario e impiegato non è strettamente imparentato con Batman e Wonder Woman, prendersi cura di 800 animali in modo adeguato è impossibile perciò la realtà è che in questi luoghi il benessere non sarà mai assicurato, la vita sarà sempre difficile, i cani usciranno poco dai loro box, il livello di stress sarà sempre altissimo e l’unica speranza è che gli ospiti se ne vadano il prima possibile. Il lavoro delle associazioni e degli operatori è anche quello di accoppiare in modo adeguato il cane alla loro nuova famiglia. Un’adozione sbagliata potrebbe creare grandissimi disagi e l’animale potrebbe essere riportato al mittente, cosa che purtroppo accade più spesso di quanto possiate immaginare nonostante le raccomandazioni, i colloqui, la preparazione del personale addetto, le visite pre e post adozione. I cani ritornano in canile con le scuse più assurde: sono diventato allergico, non pensavo crescesse così tanto, sporca in casa, abbaia, pensavo che il pelo crescesse meno, ma la migliore che ho sentito è “intralcia il passaggio quando sono in cucina”, si può facilmente capire dalle  motivazioni che presentano queste famiglie che il loro attaccamento affettivo verso il presunto amico quadrupede era così effimero da decretare di disfarsene invece di tentare strade per il recupero.
Decidere di adottare un rescue è un gesto d’amore ma anche di responsabilità, un cane è un cane, vive 13-17 anni se tutto va bene, cambierà la vostra vita, nel bene e nel male, se per male consideriamo alcune limitazioni che derivano dal doversi occupare di un altro essere vivente e pensante che non giudica e dona amore incondizionato. Il compito delle associazioni è perciò estremamente delicato, se vi faranno pelo e contropelo durante i colloqui preliminari, sappiate che tutto sarà a fin di bene. Abbiamo già parlato nel primo articolo della scelta del cane migliore per voi, ora affrontiamo i primi giorni insieme al nostro fantastico cane multirazza adottato da un parco-canile.
Primo e fondamentale consiglio: non abbiate fretta. In alcune occasioni i cani, che sono degli animali fantastici e davvero, davvero adattabili, imparano molto velocemente i ritmi, si fidano subito della nuova famiglia e divengono in breve tempo dei perfetti padroni di casa, ma in altre situazioni, i cani più timidi o che hanno subito deprivazioni sensoriali o traumi, avranno bisogno di più tempo per creare un rapporto con voi. Alcune cose basilari potrebbero non essere così semplici da insegnare; se il cane ha vissuto in box affollati o con poco spazio in erba, probabilmente avrà sporcato per molto tempo nel luogo dove mangiava e dormiva, non piace a loro come non piacerebbe a noi e non è sicuramente la situazione ideale ma purtroppo quello è il vostro punto di partenza e spiegare al nostro nuovo amico che la zona deputata è il giardino o il parco, potrebbe non essere così immediato. Non arrabbiatevi mai, è illogico. In un certo senso avete a che fare con un disadattato, ci vuole solo pazienza. Usate le stesse metodologie consigliate per il cucciolo negli articoli precedenti, ma state attenti a non forzare troppo la mano, non sporcare fuori casa potrebbe anche essere un segnale di insicurezza, lasciare informazioni di sé all’esterno implica essere sicuri e rilassati, un cane traumatizzato potrebbe vivere la passeggiata come il preludio al regno degli inferi, dove ogni cosa è un potenziale pericolo; in questo caso meglio attendere,  per le uscite più impegnative, lasciate tempo al vostro amico e utilizzate semplicemente il giardino o il cortile come spazi per l’eliminazione dei bisogni fisiologici.
Non obbligate mai un cane ad interagire con voi, non mi stancherò mai di ripeterlo. I cani più sociali si avvicineranno spontaneamente mentre i timidi avranno bisogno di più tempo, gli indipendenti andranno conquistati e i traumatizzati o fobici aiutati con specifici percorsi comportamentali.
Nei primi 15-20 giorni, il nuovo membro della famiglia cercherà di capire chi siete, come sono i vostri ritmi, quali sono gli spazi, le inclinazioni personali e le attitudini di ogni persona che interagisce costantemente con lui. In canile non esistono pentole, phon, aspirapolvere, biciclette, tutto sarà nuovo per lui ma spesso mi stupisco di quanta capacità di adattamento posseggono questi splendidi animali. Dopo la prima fase adattativa potrete vedere qual è il vero carattere del vostro amico. I cambiamenti possono essere radicali; cani che appaiono inizialmente timidi si aprono, esplorano e conquistano il loro nuovo mondo in pochissimo tempo, contrariamente, individui che nelle strutture rifugio sono paragonabili a Simba o al Terrore dei sette mari, fuori potrebbero essere impauriti dalla moltitudine di cose con il quale non avevano interagito in precedenza.
Rendete l’ambiente ricco di stimoli ma non obbligate il cane a farne esperienza diretta e forzata, usate il cibo come strumento per ampliare le capacità esplorative, nascondendo la dose di pappa nelle stanze dove vivrà il cane o in giardino. Aumentate gradualmente il tempo in cui lo lascerete solo, dovrà sempre avere a disposizione qualche proposta interattiva come un succulento kong o una semplice bottiglia di plastica vuota (io preferisco quelle del succo al quale creo un buco laterale con le forbici) con delle crocchette all’interno e qualcosa da masticare. Ricordatevi che la masticazione rilassa il cane e fa parte delle naturali attività del vostro compagno, lasciate sempre a portata di mano ossettini di pelle di bufalo (non troppo grossi perché potrebbero provocare blocchi intestinali) e giochi che inducono la masticazione.
Impossibile non spendere una parola speciale per i cani che in canile trovano adozione meno facilmente, quelli più anziani, malati oppure con deficit uditivi, visivi o motori; chi non ne ha fatto esperienza ha paura che questi cani abbiano meno capacità di affezionarsi alla nuova famiglia ma rimarreste stupefatti dalla dolcezza e dalla voglia di vivere contagiosa che spesso riescono a manifestare quando realizzano di avere una nuova possibilità. Mi rendo conto che per alcuni possono essere concetti vaghi e che il dubbio permanga perciò vi racconto una storia, la storia di un’adozione speciale. Spesso mi chiedo se i cani sappiano esattamente dove andare a cercare aiuto e non credendo nell’esistenza del “ caso”, sono quasi certa che Lea sapesse che non l’avrei mai lasciata lì vicino alla mia auto parcheggiata, con la zampa penzoloni, un buco nella pancia e quella barbetta bianca che rivelava in modo inequivocabile la sua età. Era una cagnolina di taglia media, decisamente scarna, con il pelo sporco ed arruffato come segno tangibile di disavventure passate, gli occhi velati dal tempo e la coda mantenuta bassa, quasi a cercar di chiedere aiuto senza imporre la sua presenza. Non feci in tempo a piegarmi sulle ginocchia che Lea arrivò da me, con quel suo procedere dignitoso e stanco da vecchia clochard. Pensai ai fabbisogni primari e le diedi acqua e qualche crocchetta dei miei cani, bevve ma rifiutò il cibo, scarna com’era stentai a credere che fosse per mancanza di appetito, si avvicinò e poggiò la testa e il muso sulle mie gambe. “Come puoi fidarti ancora dell’essere umano piccina? Non vedi cosa è in grado di fare?” pensai. La ribattezzai Lea per quel suo pelo rossiccio ed arruffato e la portai da un ortopedico in zona per controllarne la provenienza e farla curare. Lea non aveva microchip, spesso i cani abbandonati o maltrattati ne sono privi, si dimostrò di una dolcezza disarmante con tutti e venne trattenuta per le cure del caso e per operare la zampa, al termine della fase riabilitativa, la nostra piccola amica trovò famiglia proprio tra i veterinari che l’avevano assistita.
 Ci sono cani che sanno ricordarci il vero valore della parola “perdono”. 

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