Cosa poteva andare storto?

È facile rendersi conto di quanto in profondità il cane, come specie animale, sia segnato dalla domesticazione: basta mettere a confronto un lupo e un pechinese (peraltro razza antichissima, attestata da oltre quattromila anni). Del resto, anche senza spingersi a confronto con i progenitori selvatici, basta pensare all’enorme varietà delle razze canine, per taglia, aspetto e indole: dall’alano al chihuahua, dal bassotto al levriero, dal molosso al volpino, la selezione artificiale operata dall’uomo ha reso il cane la specie probabilmente più diversificata tra tutti i mammiferi.

In molti casi, specie per le razze più antiche, questa selezione ha agito per finalità essenzialmente pratiche: si trattava di esaltare le caratteristiche più utili per certe funzioni, sempre più specifiche, ma comunque era ovvio che i diversi esemplari dovevano mantenersi in salute a lungo, se non altro per continuare a fare il loro lavoro. In questo modo, sono state create razze ben adattate all’ambiente, robuste e con un carattere tipico si esprimesse bene nel loro mestiere, come l’indole solitaria e un po’ ombrosa di certi cani da pastore, la frenetica curiosità dei bracchi o la stessa irascibilità degli Yorkshire, selezionati inizialmente per cacciare i topi nelle miniere di carbone. Le cose cambiano drasticamente quando la selezione avviene soprattutto per motivi estetici e si cerca di affinare le razze “da compagnia”.

Si tratta di un fenomeno abbastanza recente, tanto che può essergli attribuita una data di nascita: il 1873, con la fondazione del primo club cinofilo londinese, nato ufficialmente per “tutelare” le razze esistenti, ma il cui operato, di fatto, è stato di segno opposto, verso l’esasperazione sempre più spinta dei cosiddetti “tratti caratteristici”. Questo ha provocato, in molte razze e soprattutto in quelle più pregiate e più “tipiche” (ossia, le più distanti dal “cane generico”, a sua volta molto simile al lupo), due gravi ordini di problemi. In primo luogo, visto che il cosiddetto affinamento di una razza si ottiene facendo accoppiare discendenti di un numero sempre più ristretto di esemplari dalle caratteristiche “ideali” sempre più spinte, tutti i problemi della consanguineità e dell’impoverimento del pool genetico, tra cui malattie ereditarie, problemi scheletrici, narcolessia e una maggiore predisposizione ai tumori. In secondo luogo, perché spesso queste caratteristiche hanno ben poco a che vedere con il benessere del cane, come il muso molto schiacciato di diverse razze, dai bulldog ai carlini. Anche in questo caso, la tendenza è all’accentuazione sempre più esasperata: alla fine dell’Ottocento, il modello di riferimento del bulldog aveva il muso molto meno schiacciato dell’attuale, a tutto vantaggio dell’animale.

Il muso schiacciato, infatti, secondo le parole del biologo evolutivo Richard Francis (Addomesticati, Bollati Boringhieri 2016, p. 65) “determina problemi respiratori, in quanto spinge il palato molle contro la trachea impedendo il passaggio dell’aria. E dal momento che i cani abbassano la temperatura corporea soprattutto respirando, i bulldog rischiano di morire per un colpo di calore. La bocca è troppo piccola per accogliere tutti i denti, che si accavallano e crescono storti, trattenendo residui di cibo. Le gengiviti sono molto frequenti. Gli occhi non sono bene inseriti nel cranio e sporgono eccessivamente, anche solo tirando il guinzaglio. Spesso le palpebre non si chiudono del tutto, causando irritazioni e infezioni; a volte le ciglia sfregano contro gli occhi. Non di rado le troppe pieghe di pelle provocano dermatiti.”

Le versioni nane di altre razze canine hanno problemi simili, tanto per l’estrema fragilità della struttura ossea quanto di rapporto con il mondo esterno, visto che le loro risposte comportamentali tipiche sono quelle della loro specie, inadatte a un contesto per il quale sono sottodimensionati. Forse anche per questo i cani di queste razze hanno un così forte bisogno di affermarsi e, spesso, delle reazioni eccessive, di paura o di aggressività. Anche in questo caso, si finisce per esasperare dei tratti fisici, e spesso anche comportamentali, a tutto detrimento della salute e del benessere dell’animale: davvero un brutto modo di proseguire trentamila anni di appassionata convivenza tra uomo e cane.

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