Uno sguardo può dire moltissimo a noi umani. Guardarsi negli occhi è un modo per esprimere fiducia, amicizia, franchezza, persino amore; un confronto di sguardi può anche essere una sfida per determinare chi è più forte, chi comanda e chi è costretto, appunto, ad abbassare lo sguardo. E poi ci sono sguardi di intesa, sguardi in tralice, affettuosi, invidiosi, persino sguardi che fulminano.
Tutto questo universo di comunicazione è precluso alla maggior parte delle specie animali, che infatti il più delle volte non tollerano di essere fissati negli occhi: la vista è destinata solo a scrutare l’ambiente, a trovare opportunità e a scoprire minacce, e non ci si può permettere di usarne gli organi in altro modo. Del resto, anche i nostri occhi sono abbastanza peculiari, con un’iride relativamente piccola rispetto alle dimensioni della sclera, per di più bianca: in questo modo, si vede sempre da che parte stiamo guardando, il che ci permette, appunto, di indicare qualcosa con gli occhi e dirigere lo sguardo altrui. Questa caratteristica ci distingue anche dai nostri parenti più stretti dal punto di vista evolutivo: nessuno dei grandi primati antropomorfi ha le nostre stesse grandi sclere bianche.
Del resto, sembrano esserci numerose controindicazioni a questo bizzarro assetto anatomico: un’iride più piccola ha un minor numero di recettori visivi e le grandi sclere bianche sono maggiormente visibili, specie se si considera che i nostri antenati, venendo dall’Africa orientale, erano probabilmente abbastanza scuri di pelle. D’altra parte, molti scienziati sono dell’idea che i forti vantaggi in termini di capacità di comunicazione sembra siano stati risolutivi, specie perché si tratta di una forma di comunicazione molto silenziosa e, perciò, particolarmente utile in situazioni come la caccia in agguato.
Lo sanno bene i nostri amici cani, che sono straordinariamente capaci di leggerci negli occhi: mediamente, i cani sono in grado di seguire e interpretare lo sguardo umano meglio di qualsiasi altra specie animale, compresi gli scimpanzé e gli altri grandi primati; i soli animali capaci di tener testa ai cani in questa particolare disciplina sembrano i furetti, vale a dire un’altra specie che è stata domesticata, da millenni, per collaborare nella caccia. Insomma, sembra che i cani abbiano sviluppato questa capacità per capire meglio le nostre intenzioni e per esprimere le loro, vista l’eloquenza con cui, a loro volta, comunicano con lo sguardo. È significativo che questo dialogo di sguardi si sia sviluppato nella comunicazione tra le due specie, la nostra e quella canina, mentre non viene usata, sempre a quanto risulta alle ricerche scientifiche in merito, tra i cani e nemmeno tra i lupi in assenza dell’uomo. Per essere più precisi: i cani distolgono lo sguardo e mostrano la sclera come segno di sottomissione al capobranco, ma tra loro non si guardano negli occhi come fanno con noi, né si segnalano nulla con lo sguardo.
Questo dialogo di sguardi, insomma, nasce e si sviluppa nella peculiarità del rapporto tra uomini e cani, un rapporto tra specie diverse che hanno saputo elaborare un linguaggio comune, per mettere a frutto un’intesa nata nella notte dei tempi.